di Alessandro BRUNI

Più volte in questo blog ho segnalato ai lettori libri particolari capaci, a mio avviso, di dare una scossa o una apertura mentale nel grigiore di tanta editoria. Anche questa volta invito a leggere un libro assai particolare: l’autobiografia di un ragazzo 22enne che vive su una sedia a rotelle.

È un libro esplosivo per freschezza giovanile, per voglia di vivere con mille problemi che si snodano tra affetti e difficoltà, tra conquiste limitate e sconfitte infinite. L’ho letto come se fosse un album fotografico sfogliato dalla culla alla giovinezza, senza veli, senza quei ritocchi che abbelliscono e falsano le immagini.

Racconta una storia intessuta di amore materno, di disunione familiare, di pesi troppo grandi da sopportare, di resistenza e volontà di vivere nonostante tutto da parte di genitori e amici attorno al protagonista ora arrabbiato, ora consapevole, ora depresso, ora sconfitto, ma mai domo.

Non è mai facile descrivere le emozioni di lettura dei libri autobiografici che raccontano esperienze di dolore, specie se queste sembrano un destino e non un periodo di breve difficoltà. Solitamente ci coinvolgono emotivamente tanto da rifiutarci di continuare a leggere non sopportando il dolore che ci arreca o da insistere nella lettura di tanta sofferenza, presi da una storia vera raccontata senza retorica, sostenuta dai commenti degli amici sparati come sanno fare i giovani che vivono il presente come se fosse l’ultima ora della loro vita.

Se poi il libro è una autobiografia ti aspetti sempre che ci sia il lieto fine con una parziale o totale soluzione o con il raggiungimento di una consapevolezza interiore che solo l’età matura può portare. L’autobiografia scritta da un ragazzo di 22 anni è anomala perché ti coinvolge al punto che non puoi essere distaccato, ma solo stupito dalla forza interiore che è necessaria per vivere da parte nel protagonista narrante.

Accade sempre a lettori sensibili che affrontano libri come questo fuori dal coro letterario e colmi di umanità diretta e di cose dette senza filtri, senza narcisismi adulti e piena di narcisismi adolescenziali leggeri come nuvole e sempre pregni di contesti adulti ricchi del ghiaccio dell’indifferenza e del non farsi coinvolgere (tanto lontani dall’ ”I care” di don Milani).

Leggere questo libro ci fa sentire come quegli automobilisti che fermano la loro auto nei parcheggi per disabili, che mettono l’auto sui marciapiedi, che alle rimostranze fanno le spallucce o peggio insolentiscono: ci mettiamo in uno spazio che sappiamo esistere, che sappiamo di diritto e che eppure ci pare violabile, come un non luogo che appartenga anche a noi se lo vediamo libero.

Continuamente rubiamo spazio, aria vitale, a chi non l’ha, tanto che se la gente incontra un disabile con qualcuno, tende a pensare che quel qualcuno sia un parente, una badante, o un povero cristo che sta portando la croce. Non passa nemmeno per la testa che possa essere un amico vero legato da una relazione normale, spontanea e bivalente. Non si realizza che la disabilità è una diversa normalità e non una condizione di apartheid sociale.

Si dirà che sono solo parole, poi i fatti e la vita reale è altra cosa. Ma è proprio questo che deve cambiare dato che se si vuole trovare una colpa nella disabilità si deve ammettere che risiede nei “normali” per atavico costume di rigetto sociale pseudorazzista, ovvero una vera vergogna.

Nascere disabili non è come avere una grave malattia. Se sei colpito da una malattia ti rimane sempre la speranza che qualche terapia la possa sconfiggere o quantomeno possa attenuare la sofferenza. Hai la speranza di riuscire a cambiare condizione di ritornare “normale”. Nascere con una disabilità significa solo che ti devi accettare come sei, che devi accettare l’indifferenza e il pietismo degli altri che ti rendono sconfitto a vivere un tempo sempre sospeso di futuro incerto.

Le classiche domande esistenziali che ciascuno si pone: chi sono? che senso ha la mia vita? assumono una forza assoluta prima di tutto nella consapevolezza della tua diversità e poi nella quotidiana sfida di dover superare le difficoltà delle tue remore personali e di quelle degli altri nell’accettarti come sei. Devi anche governare la rabbia di essere diverso dagli altri del farti guardare non per quello che sei ma per quello che gli altri vogliono vedere, con un velo di indifferenza o un velo di stucchevole pietismo.

Qualcuno dirà: ma allora è un libro che fa piangere! No, è un libro che fa pensare con leggerezza che ha non poche situazioni che fanno sorridere e che si legge d’un fiato, caldo come una pizza e fresco come una coca cola. Da consigliare ai propri figli adolescenti, da commentare assieme, da ragionare sui perché insoluti che la vita ci propina. Non per compiangere lo sfortunato, ma per apprezzarne la diversità.

(recensione tratta dal blog di Madrugada)

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